Alle soglie degli 'anta, Dan Hero resta un giovane vecchio
con lo sguardo e il cuore immutabilmente fissi al passato.
Da una decade circa ospite non gradito sulle pagine di TGM,
snocciola mensilmente sermoni irremediabilmente noiosi riguardo
quanto meravigliosi fossero i videogiochi dei bei tempi andati,
coltivando nel contempo il sogno di fondare una software house
nichilista e creare titoli nati vecchi che nessuno giocherà.
[nuRetro] Commodore 64
Arcade Daze
Psytronik | Trevor Storey | Stuart Collier | Saul Cross
29 05 2021
C'è un preciso momento in cui avverti chiaramente il desiderio di omaggiare David Whittaker da parte di Saul Cross, ed è sottolineato dalle note di Star Dust, il pezzo sgraffignato da Zombie Nation e riproposto a una platea di tedeschi più o meno ignari nel brano Kernkraft 400. Un breve virtuosismo sul pentagramma che suona - perdonate il gioco di parole - come una dichiarazione d'intenti, urlando al mondo che Arcade Daze è arrivato in un inaspettatamente saturo mercato a otto bit per essere il seguito spirituale di Lazy Jones. Non lo è, né sarebbe mai potuto esserlo: Lazy Jones era (è) un capolavoro visionario figlio di un'altra epoca dove tutto avviene in nome di una sinergia quasi irripetibile, un bombardamento di musica, situazioni (il bar o l'incubo) e minigiochi in un mondo ancora orfano della rivoluzione di WarioWare. Era soprattutto un titolo dotato di un ritmo incalzante, cosa che ad Arcade Daze manca. È un po' colpa dello schema di gioco, racchiuso in una schermata fissa dove il protagonista deve terminare tutti i coin-op, evitando nemici in un 'maze game' estremamente semplice e lento, giacché occorre raccogliere il denaro provvidenzialmente disseminato dal cattivo di turno per riscattare gettoni con cui foraggiare le tanto amate divinità in legno e silicio.
La grafica in alta risoluzione è squisita, ma la lenta raccolta degli spiccioli dilata l'azione in maniera non necessaria. È però di fronte ai cabinati che la magia accusa maggiormente il colpo: i giochi sono tredici, ma sostanzialmente si tratta di declinazioni neppure troppo brillanti di Centipede, Frogger, Space Invaders, Pac-Man e Lunar Lander con una spruzzatina del nostrano Eyes griffato Zaccaria, se permettete l'audacia. Un campionario di eccellenti ispiratori, destinato a intaccare alla lunga la varietà (ma i cloni, ci sarebbe da obiettare, hanno sempre fatto parte del mondo arcade) e che offre un'impagabile lezione a livello di game design, purtroppo non recepita al meglio da Psytronik Software. In altre parole i minigiochi sono quasi sempre noiosi, e il fatto che un game over costringa a fare nuovamente incetta di monetine e gettoni per pagare un'altra partita può diventare snervante quando si è alle prese con le collisioni bizzarre dei simil Frogger o con la tediosa intelligenza artificiale dei nemici che popolano i giochi a base di labirinti, letteralmente a un passo dalla lobotomia.
Complessivamente Arcade Daze è graziato da una realizzazione notevole, con grafica ad alta risoluzione che in qualche modo ricorda lo stile di Skate Crazy di Gremlin Graphics, un'immagine che mi riporta all'estate del 1988 secernendo immediatamente ettolitri di serotonina. Quel che resta però non riesce a brillare, né a divertire per più di una manciata di partite, ovvero quelle necessarie a raggiungere la schermata finale. Incredibile pensare che quello scansafatiche di Jones riusciva a ottenere molto di più addormentandosi per giunta sul lavoro, quasi quarant'anni fa.
[Dan Hero]