Sega Saturn
Nights into dreams...
Sega | Sonic Team | Yuji Naka | Naoto Oshima | Takashi Iizuka | Takeshi Niimura | Yuji Saito | Takahiro Hamano | Takuya Matsumoto
02 05 2021
Un platform senza piattaforme. Una simulazione di volo onirico. Un Sonic in trip da acido. Ancora adesso non sappiamo come classificare questo Nights into dreams... (1996, Sega, Sonic Team). Proprio come un sogno che, alla fine della notte, appare non facilmente descrivibile e confuso. E dato che la materia affrontata rappresentava un esordio assoluto per il mondo dei videogame (a parte Weird Dreams per Amiga, comunque non paragonabile a questa storia di bambini che di notte sognano di volare, identificandosi con un acrobata magico, in un mondo inconscio!?!) e che il Sonic Team aveva fatto una scelta forse troppo ardita, le reazioni furono, appunto, confuse.
In effetti molti giocatori, una volta smaltito lo sbigottimento provocato dall'impatto iniziale e da una grafica ad alti gradi di psichedelia, non sono riusciti a penetrare la vera essenza del gioco, bollandolo come prodotto minore del Sonic Team. Ma Nights into dreams... è tutt'altro: per tanti altri, infatti, è un capolavoro, una delle migliori cose della sua epoca (basta solo dare un'occhiata in rete ai siti specializzati). È un gioco piccolo, ma che della semplicità fa la sua forza, proprio come il primo Sonic, con cui condivide più di una caratteristica. Come in Sonic bisogna infatti raccogliere nel più breve tempo possibile una serie di oggetti (anelli, qui presenti sotto forma di cerchi da attraversare in volo, gettoni, stelle) per ottenere punteggi sempre migliori. Si è però passati, con un salto non di poco conto, da un platform bidimensionale a una simulazione di volo in 3D, per quanto vincolata a pattern fissi e quindi a traiettorie aeree quasi obbligate. Inoltre se in Sonic la raccolta degli oggetti era fine a se stessa, qui il ritrovamento si rivela indispensabile per passare ai livelli più avanzati, perché alla fine di ciascun tentativo viene assegnato un voto (da A a F) e per andare avanti bisogna ottenere punteggi almeno pari a C. Diventa quindi obbligatorio percorrere più volte i livelli per memorizzare gli scenari, tra bonus e acrobazie da gestire in determinate zone, fra nemici e ostacoli vari, ottimizzando i tempi e conquistando voti adeguati. Questi tentativi ripetuti a molti potranno anche non piacere, ma rispettano in pieno la filosofia del Sonic Team e fanno aumentare la longevità di un gioco che presenta in pratica solo sette mondi, organizzati in quattro sottolivelli, più gli stage dedicati ai boss finali.
È un'impostazione che comporta però qualcos'altro: un'atmosfera e una sostanza di gioco profondamente diverse da quelle del diretto concorrente (se non altro per la allora viva competizione tra Miyamoto e Yuji Naka e tra Nintendo e Sega) e cioè il popolarissimo Mario 64. Infatti se il caposaldo di Nintendo era un gioco di esplorazione, con un numero di mondi molto ampio e senza tempi da rispettare, Nights into dreams... era invece basato su prove reiterate più volte, con una azione frenetica che rimanda alla velocità del Sonic a 16 bit e alla tradizione (arcade) dei videogiochi anni ottanta, in cui era importante soprattutto superare i propri record. Nelle anteprime si era parlato di una convivenza tra una fase dedicata al volo e una basata su una vera e propria esplorazione, ma il Sonic Team ha evidentemente fatto la scelta di privilegiare nettamente la prima opzione. E infatti, anche se si possono affrontare i mondi senza l'ausilio del volo e fregandosene dei tempi, questo porta inevitabilmente a voti insignificanti e alla impossibilità di arrivare in fondo al gioco. Un autogoal, ai miei occhi, probabilmente dettato dal timore di confrontarsi con Super Mario 64 sullo stesso terreno (il progetto di un vero Sonic tridimensionale per Saturn non è mai stato messo nemmeno in cantiere).
Naka e il Sonic Team decisero di impegnarsi in qualcosa di diverso forse anche a causa delle difficoltà incontrate dal Saturn nella gestione di mondi complessi in 3D, come dimostrava pure il quasi contemporaneo Tomb Raider con una versione Sega piuttosto pasticciata. Ma il creatore di Sonic e il suo team in quel momento storico non sbagliavano un passo. Le incertezze della macchina Sega, legate alla complicata coesistenza del doppio processore grafico VDP con la doppia CPU Hitachi, vennero nascoste proprio grazie alla scarsa libertà degli spostamenti del protagonista sul piano della tridimensionalità, senza che questo si trasformasse necessariamente in un handicap. E in realtà solo quando si passa all'esplorazione a terra, del tutto libera ma incidentale, diventano evidenti le perdite di poligoni, il pop-up e la scarsa definizione delle texture, il che spiega anche l'impostazione voluta per il gameplay.
Gameplay che, come nel più classico dei prodotti per Saturn, rappresenta comunque il pezzo forte di tutto l'insieme, con una facilità di uso e una successiva articolazione che si possono ritrovare solo in pochissimi rivali. Entrare nel meccanismo di gioco è questione di minuti ma poi, tra moltiplicatori di punti, contenitori di oggetti nascosti, intelligenza artificiale delle entità Nightopian, accelerazioni improvvise, 'extra point' ottenuti mediante acrobazie e gestione dei tempi nelle varie sezioni, Nights into dreams... si rivela più profondo e strategico di quello che potrebbe apparire inizialmente. Rimane un tipico 'pick up and play', certo, ma con un fascino particolare che deriva da un progetto curato in ogni particolare, a cominciare da un marketing attento che ne fece un successo massiccio in patria e non solo (unico neo: il tentativo di sostituire Sonic col protagonista Nights, come nuova icona Sega, non andò in porto, direi ovviamente) e da una presentazione raramente riscontrata in qualsiasi altra cosa dedicata al Saturn.
Difficile peraltro trovare qualcosa sotto tono all'interno di una produzione così accurata. La grafica è una festa, tra colori sparati, dettagli in sovrabbondanza nei fondali, una sensazione di volo verosimile e un 3D furbo ma sempre spettacolare, a parte quei pochi momenti di défaillance che abbiamo descritto. Sfido chiunque a definire deludente la colonna sonora: seconda solo a quella del successivo Christmas Nights (e sullo stesso piano di quelle dei più brillanti blockbuster Sony e Nintendo) rappresenta quanto di meglio prodotto per la console Sega, Daytona permettendo. Il character design, chiaramente iper studiato dallo stesso direttore di produzione (il navigato Naoto Ohshima) è quasi esemplare, anche se, come dicevamo, l'idea di far passare l'acrobata volante Nights come nuovo simbolo Sega era chiaramente troppo ambiziosa. La risposta ai comandi è praticamente perfetta, a un'unica condizione: avere a disposizione il controller analogico ideato per questa occasione da Sega. Qualsiasi altro joypad non consente quella fluidità di movimenti necessaria per muoversi in scenari tanto complessi, anche se la situazione resta comunque affrontabile senza difficoltà insormontabili. Proprio per la sua stessa natura, poi, Nights into dreams... è un gioco che ha resistito bene al passare degli anni: recuperarlo per una partita, magari ricorrendo anche alla modalità per due giocatori, è una delle cose più facili e piacevoli che si possano fare ancora oggi.
La chiudo qui e torno all'inizio. Mi rendo conto che forse ho reso le cose ancora più confuse, perché nel caso di Nights into dreams... si fa davvero prima a giocare che a parlare. Allora facciamo un esempio classico, tanto per essere chiari: se dovessi essere relegato per un po' di tempo su un'isola deserta, con solo venti giochi da portarmi dietro, Nights into dreams... finirebbe di sicuro in valigia (e molti altri giochi più famosi no).
[NO1]