Sega Saturn
Daytona USA
Sega | AM2
26 01 2021
Quando si tratta di videogiochi tutto dipende da quello che si vuole. Cosa che riguarda ogni aspetto della vita ma che nel caso di un'esigenza epicurea,
come quella del giocare, diventa ancora più evidente. Il più celebrato dei giochi, infatti, può annoiarmi a morte, senza che io possa fare niente per convincermi del contrario. Viaggiando in un contesto come quello di A.Rea 21 non possiamo però nemmeno ignorare le opinioni che hanno accompagnato l'uscita di un videogame. Un bel dilemma, questo, se viene applicato al primo Daytona per Saturn. Massacrato da molti, osannato da altrettanti, può rappresentare un enigma ancora oggi. Ancora oggi, però, resta in testa al mio personalissimo cartellino. Non che questo debba significare qualcosa, anzi, ma come dicevamo prima, non posso non tenerne conto. Quello che voglio da un videogioco è che sia divertente e a Daytona USA (Sega, aprile 1995) tutto si può rimproverare tranne che essere noioso.
Poi c'è la questione filologica. Oggi probabilmente nessuno riesce più a meravigliarsi di fronte ai suoi scenari, ma ai suoi tempi il coin-op originale aveva fissato standard a cui tutti dovevano fare riferimento, in sala giochi o altrove (Namco inclusa), con una impostazione tridimensionale che superava tutto quello che era possibile avere, fino a mettere in scena un nuovo linguaggio grafico. La conversione su Saturn era quindi un'impresa disperata, date le differenze tecniche tra le schede Model 2 del cabinato e i processori della console casalinga. Tanto disperata che lo slogan "La sostanza, il gameplay è quello che conta", riferito ai titoli del catalogo Saturn, venne usato per la prima volta proprio per questo Daytona. Ma sapete una cosa? Lo slogan è stato sicuramente tirato fuori a sproposito più di una volta, ma in questo caso diceva la verità. E così il giorno del lancio di Daytona USA su Saturn rimane una data importante per la piccola storia della console Sega (e della PlayStation, di rimando).
Dopo mesi di attesa la risposta Sega a Ridge Racer, che aveva fatto in pratica vendere quasi da solo la PlayStation, non poteva insomma mancare il bersaglio. Sembra stupido (e forse lo è), ma tutti attendevano il responso della stampa per capire quale sarebbe stata la vera console della nuova generazione. La partita decisiva dopo tanto hype e tante dissertazioni tecniche stava per cominciare davanti agli occhi di milioni di potenziali clienti (non scordiamoci che le due nuove macchine a 32 bit avevano pochi mesi di vita ed erano ancora delle perfette sconosciute). Almeno una parte della stampa anglofona parlò di un gioco molto buono (per esempio 92 di voto su Mean Machines, un euforico 95 su Computer and Video Games, voti intorno all'otto su Electronic Gaming Monthly), graficamente meno raffinato di Ridge Racer ma più giocabile. Gli altri, inclusa la stampa italiana, si accanirono invece sui problemi tecnici (molti per la prima volta sentirono parlare di 'bad clipping' e pop-up) stroncando gioco e macchina e tralasciando il fatto che gli stessi problemi erano, in misura minore, presenti anche in RidgeRacer. E in un mercato asfittico (e credulone - NdShrapnel) tanto bastò per relegare il Saturn al ruolo di bidone, con conseguenze fatali.
La verità è che Daytona USA è una buona conversione di un coin-op di enorme successo e importanza (per tutte e due le versioni la produzione è AM2, con a capo gli ideatori Yu Suzuki e Toshihiro Nagoshi, reduci dal già splendido Virtua Racing), che non poteva riprodurre le mirabilie grafiche dell'originale ma che è riuscita comunque a replicarne la giocabilità furiosa. Alla faccia delle bande nere che restringono lo schermo nella versione europea, delle fette di montagna che scompaiono e riappaiono causa pop-up, delle sole tre piste presenti (quelle originali più le versioni 'mirror', ma senza un campionato) e dell'assenza di una modalità per due giocatori (giocare al coin-op in otto, con cabinati linkati, era forse l'esperienza più esaltante che si potesse provare in sala giochi), Daytona USA ha ancora oggi molto da insegnare a tutti. Ovviamente l'impostazione è arcade, distante da quella di una simulazione, ma questo non significa che sia inverosimile, anche se le regole di base da seguire sono poche (evitare le collisioni, calcolare bene traiettorie e frenate, non finire con le ruote sull'erba). Le stock car, per quanto prive di licenza Nascar, si comportano infatti proprio come una trazione posteriore di grossa cilindrata, con in più una manovrabilità più unica che rara e con comandi che replicano al massimo possibile quelli del cabinato. Poco o nulla da rimproverare, poi, alle quattro visuali concesse e ai tre circuiti disponibili (strafamosi): nonostante tutto i fondali appaiono ancora spettacolari e molto colorati, mentre il track design è esemplare, nel senso che è servito come esempio per decine di altri racer e nel senso che costringe il giocatore a viaggiare sempre sul filo del rasoio e dei decimi di secondo.
La versione PAL, uscita sette mesi dopo quella NTSC-J, presenta anche qualche miglioramento, come la AM2 aveva promesso a più riprese. Il drifting, certo non invadente come in Ridge Racer, si effettua con molta più facilità rispetto a prima, la risposta in curva è meno nervosa, la velocità già buona è ancora più elevata (grazie anche alle strisce nere che riducono a un 'letterbox' l'area di visione) e anche il frame rate appare più fluido, con scatti inavvertibili (30 fps, almeno mi sembra). Il comportamento delle altre auto, per quanto svincolato dai vostri tempi sul giro, rimane aggressivo e soprattutto nel quarto o quinto livello di difficoltà raggiungere le prime posizioni non è per niente facile. A questo, alla presenza di diversi tipi di auto e di competizioni (Grand Prix ed Endurance, nel nuovo Saturn Mode, offrono fino a 80 giri da percorrere!) e a quella delle versioni 'mirror' delle piste è affidata la longevità complessiva. Non è molto, ma è un dato di fatto che io giochi a Daytona ancora oggi, almeno ogni tanto: sarebbe come dire che ci si stanca della pizza perché è fatta sempre di farina, acqua e lievito. Delle musiche di Takenobu Mitsuyoshi poi non voglio nemmeno parlare, tale è la loro popolarità: dico solo che raramente si è ottenuta una simbiosi così perfetta tra gioco e colonna sonora (Wipeout, Final Fantasy, Zelda e pochi altri). Un testimone vero e importante, quindi, del modo di videogiocare negli anni novanta. Semplice, travolgente, inossidabile: uno dei pochissimi casi in cui ci si alza dalla sedia dicendo "Mamma mia", altro che Super Mario.
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