Apple Macintosh
The Hobbit
Addison-Wesley | Beam Software | Melbourne House | Philip Mitchell | Veronika Megler
01 07 2018
Ambizioso, affascinante, complesso e capriccioso: ecco come descriveremmo in breve The Hobbit qui ad A.Rea. 21. In realtà potrebbero esserci tanti altri modi per 'etichettare' l'epica avventura di Beam Software e Melbourne House, ma questi sono probabilmente i più calzanti, almeno secondo noi. E sono perfettamente validi anche per questa tardiva conversione su Macintosh, giunta sugli scaffali dei negozi circa cinque anni dopo l'uscita dell'originale per ZX Spectrum. Vediamo comunque di spiegarci meglio, com'è giusto fare in questi casi, e procediamo con ordine.
Ambizioso lo è senz'altro, The Hobbit. Portare su uno schermo in forma interattiva un racconto ricco di sfaccettature come quello scritto da Tolkien sarebbe un'impresa non da poco anche oggi, con l'attuale tecnologia: figuriamoci quanto possa esser stato arduo più di trent'anni fa, con ben pochi mezzi tecnici a disposizione. The Hobbit intraprende saggiamente la via dell'avventura testuale con alcune immagini a corredo delle descrizioni e, a ben vedere, gli sviluppatori non avrebbero potuto fare altrimenti. Sarebbe stato praticamente impensabile ricreare le atmosfere del racconto con qualsiasi altra struttura di gioco, laddove il testo consente di rievocare scenari, personaggi e situazioni del libro originale.
Di qui il fascino di The Hobbit, che riesce pienamente nel difficile intento di trasporre in forma computerizzata un racconto di grandissimo prestigio. I testi, studiati per conservare la snellezza necessaria a far scorrere l'avventura con fluidità, condensano efficacemente in poche righe l'epopea di Bilbo e dei suoi compari senza trascurare alcunché. Thorin intona canzoni sull'adorato oro, Gandalf è sfuggente ed enigmatico, la casa di Bilbo viene dipinta come un piccolo angolo di paradiso, i troll si comportano in modo disgustoso, l'abitazione di Beorn impressiona per la sua imponenza, il Bosco Atro incute sin dal primo istante un giustificato timore e via di questo passo. Le immagini, dal canto loro, ricordano (vagamente, s'intende) in questa dettagliata e monocromatica versione Macintosh i disegni realizzati dallo stesso Tolkien e rafforzano l'impatto della narrazione. Non manca nulla, insomma, e il giocatore è tutt'altro che un semplice spettatore.
La complessità alla quale si è accennato in apertura, infatti, assume la forma di un 'parser' assai più evoluto dei suoi contemporanei. Battezzato Inglish dai suoi autori, perché basato su un selezionato sottoinsieme della lingua inglese, l'interprete che anima The Hobbit è in grado di riconoscere frasi composte e, al loro interno, elementi come pronomi, avverbi, preposizioni e diversi tipi di punteggiatura. Ogni oggetto contemplato dal sistema di gioco è inoltre dotato di caratteristiche fisiche ben precise, come le dimensioni e il peso, e ciò genera la possibilità di infilare una mappa in un forziere, per esempio, o di far entrare un personaggio in una cassa con la quale diverrà solidale in caso di spostamento della stessa. A stupire davvero, però, sono lo svolgimento in tempo reale dell'avventura e la totale indipendenza dei personaggi, da cui deriva anche qualche problema.
Non si può evitare di definire capriccioso, a ben vedere, un gioco in cui uno dei protagonisti controllati dalla CPU può andare a ficcarsi in guai ben più grossi di lui in qualsiasi momento, a notevole distanza dal giocatore, e farsi rapire o peggio ancora uccidere, rendendo di fatto impossibile il completamento dell'avventura. Si tratta di un'eventualità niente affatto remota, come ammettono gli stessi sviluppatori nel manuale che accompagna The Hobbit, alla quale bisogna far l'abitudine senza storcere il naso più di tanto. L'imprevedibilità è in fin dei conti il prezzo da pagare per avere un mondo vivo e pulsante come quello di The Hobbit per Macintosh (e per gli altri formati sui quali è disponibile), che non avrebbe potuto rendere giustizia al racconto di Tolkien in nessun altro modo.
[Nyabot]