Imbarcato in tenera età su un cargo battente
bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai
suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti
contatti con numerose popolazioni indigene
legate alle tradizioni, una smodata passione per
l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming,
in particolare se targato Sega...
Nintendo Super NES
Vortex
Electro Brain | Argonaut | Michael Powell | Nic Cusworth | Dylan Cuthbert | Giles Goddard
20 05 2018
Vortex doveva dimostrare quali fossero le vere potenzialità del Super Nintendo, portare avanti la rivoluzione 3D inaugurata da Starwing/Starfox, realizzare un mix tra più generi e concretizzare qualcosa di mai visto su console. Il tutto affidandosi a una cartuccia da 4 megabit di memoria che, voglio ricordarlo, rappresentano probabilmente un millesimo dell'estensione della suoneria del vostro smartphone. Una bella impresa, aiutata ovviamente dal chip Super FX, ma che forse solo la pionieristica Argonaut, portabandiera del 3D per Nintendo e ideatrice del chip stesso, poteva ai tempi (1994) pensare di affrontare.
L'impresa era tale, comunque, che rinvii e aggiustamenti in corso d'opera diventarono così frequenti da trasformare Vortex in una delle produzioni più chiacchierate della sua generazione, un oggetto misterioso agli occhi di un pubblico ansioso e abbacinato dalle continue anticipazioni della stampa specializzata. Al momento dell'uscita, tra scetticismi e proclami trionfalistici, l'effetto finale non fu però quello che ci si aspettava, almeno dal punto di vista puramente commerciale: le recensioni si rivelarono incoraggianti ma non convintissime e le vendite buone, ma lontane dal successo di Starwing. Troppo sofisticato l'impianto di gioco per potere interessare un pubblico distratto come quello occidentale e troppo poco approfondito per coinvolgere un pubblico scafato come quello giapponese, che di robottoni à la Jeeg Robot si nutre a pranzo e cena. Aggiungiamo a questo la quasi contemporanea concorrenza di macchine più moderne (PlayStation) ormai vicine al debutto.
Perché Vortex proprio di questo tratta, di robottoni, mech o transformer che dir si voglia, posti a difesa del pianeta di appartenenza contro gli invasori provenienti dalle stelle: niente di più di quanto accade in decine di altri giochi, generalmente shooter duri e puri. Solo che la materia viene qui trattata in maniera più originale, a parte le tradizionali stragi di nemici e raccolte di bonus. Dopo una sezione training necessaria per conoscere i numerosi comandi e rendersi conto che movimenti e visuale non sempre vanno d'accordo, anche perché il nostro mech si sposta liberamente e non su binari virtuali come succede in Starwing, si passa poi attraverso sette vere missioni militari che vanno dallo shooter spaziale classico alla caccia ai nemici sulla terra ferma alla sezione sotterranea. Il tutto viaggia a una velocità finalmente accettabile, tra l'altro con un aumento di poligoni su schermo, tra panorami però piuttosto scarni. I quattro veicoli di base del transformer sono ben realizzati, anche se con poligoni nudi e voluminosi, mentre gli avversari appaiono ovviamente più grossolani. Altrettanto ovviamente si è puntato molto sulla varietà di comportamento di quest'ultimi, il che sposta il modello di gioco più verso la strategia che sull'azione vera e propria (che comunque non manca ed è aiutata da una visuale giustamente posta alle spalle del protagonista).
Ottimamente presentato, con una buona offerta di opzioni e dotato di una colonna sonora gradevole, Vortex oggi può apparire elementare, ma ai tempi rappresentava uno spettacolo raro, quasi il massimo ottenibile dalla tecnologia 3D di allora (onore al debuttante in cabina di regia Mike Powell, quindi). Le cose stavano però rapidamente cambiando e con loro la percezione del pubblico e dei mercati: sui giornali le prime foto di Ridge Racer raccontavano una storia parecchio diversa e le conseguenze, per Vortex, ma anche per il Super Nintendo, non tardarono a manifestarsi, fatalmente.
[NO1]