Sega Mega Drive
Rocket Knight Adventures
Konami | Ohaji Banchoh | Nobuya Nakazato | Shiori Satoh | Kenichiro Horio | Koji Komata | Kenji Miyaoka
10 11 2014
Sarebbe facile descrivere Rocket Knight Adventures come l'ennesimo platform a 16 bit. Ma ciò significherebbe trascurare il fatto che questa è una delle migliori realizzazioni di una delle migliori case di sviluppo, in uno dei suoi momenti migliori. Quello che differenzia Rocket Knight Adventures (1993) dai concorrenti diretti dell'epoca è la cesellatura o per meglio dire, dato che il termine è troppo pomposo, la capacità di portare oltre gli standard ogni aspetto della produzione, post o vera e propria. Il che è tanto più sorprendente se si considera che ognuno dei suoi sette stage (per tre o quattro sotto-livelli, con altrettanti boss e sotto-boss da affrontare) punta a uno stile sempre diverso, costruito in maniera sottile ma sostanziale, con un'atmosfera che sembra uniforme e che invece rimanda agli sparatutto classici à la Gradius, ai 'platform shooter' à la Gunstar Heroes, agli 'adventure platform' con scontri all'arma bianca e a fasi di gioco allora poco praticate, come quelle di nuoto o quelle dedicate alle corse su carrelli da miniera. Il tutto con una impostazione grafica tra le migliori per il Mega Drive, all'altezza dei platform Disney, ma con animazioni più accurate e fondali a tratti entusiasmanti, comunque talmente caratteristica da sembrare fuori dal tempo e incapace di invecchiare.
Il rigore con cui il gioco è stato realizzato si estende anche agli aspetti strettamente pratici, come l'assenza di sbavature nella gestione dei comandi o alla precisione dei contatti fra gli sprite e con gli elementi di scena. Con un'unica eccezione, francamente bizzarra dato che dovrebbe invece identificare lo spirito del gioco: la capacità di volo del protagonista. Il nostro eroe, un improbabile opossum, in linea però con la schiera di roditori che ha a lungo frequentato il mondo dei videogiochi, è infatti fornito di un'armatura a retrorazzi che gli consente di sfrecciare lungo gli scenari medievali del suo pianeta, invaso da orde di maiali guerrieri (!). Ma, a parte gli scontri con i numerosi boss di cui sopra, è proprio questa sua velocità che lo può mettere nei guai, con danni provocati al nemico ma anche con qualche pericolo per la propria incolumità. Tanto più che Rocket Knight Adventures, alla faccia dell'apparenza da cartoon, non è per niente semplice da affrontare, almeno nelle edizioni europee, con un numero ridotto di vite e di riprese da sfruttare, e non solo al livello 'hard'.
Primo sbarco pienamente riuscito di Konami su Mega Drive, dopo una serie di sbiadite conversioni secondarie, Rocket Knight Adventures era atteso come un Messia dai clienti Sega e, una volta uscito, venne immediatamente etichettato come un vero classico, con vendite conseguenti. D'altro canto per l'occasione era stato addirittura scomodato Nobuya Nakazato, già reduce da Contra III per Super NES, il che la diceva lunga sia sull'impegno messo in campo sia sull'impostazione a cui puntava la casa madre Konami (fatto confermato anche dalla colonna sonora, per la quale erano state ingaggiate due star nascenti come Aki Hata e Michiru Yamane). Il look grottesco, con sprite di grandi dimensioni e apparentemente orientato più al gusto di un pubblico prepuberale che a quello degli 'hardcore gamer', non deve quindi trarre in inganno: il tono generale è vicino a quello di un coin-op dei più intensi, con momenti di grande difficoltà e un ritmo che concede poco spazio ai giocatori casuali, tanto più se alla ricerca, per sbaglio, di titoli graziosi e facili.
Classico caso di revanche ostentata dai possessori di Mega Drive, soprattutto nei confronti di quelli del Super Nintendo, Rocket Knight Adventures diede poi origine a una piccola serie di sequel, a cominciare da quello Sparkster che un anno dopo andò a graziare proprio l'odiato Super NES (con una versione Mega Drive, per colmo d'ironia, non all'altezza). Rocket Knight Adventures resta comunque un momento magico per il Mega Drive e per le console a 16 bit in generale, come testimonia il fatto che la stessa Konami riuscì raramente, in quei lontani anni, a riconfermare una tale capacità creativa.
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