Sega Mega Drive
Strider
Sega | Capcom | Keiichi Yamamoto | Matsuhide Mizoguchi | Taro Shizuoka | Atsushi Seimiya | Mt. Maya | Pal-Ko
19 10 2014
È ora che l'impero russo torni a dominare la Terra. Questo è quello che deve aver pensato il nuovo Imperatore dell'Est. Solo che l'anno è il 2048, la nazione non è esattamente la Russia ma uno stato ex-sovietico e l'Imperatore non dovrebbe essere Putin (anche se trentaquattro anni potrebbero non bastare per allontanarlo dalla scena). La situazione generale in Strider è confusa, come nella migliore tradizione dei videogiochi. La strana storia inizia in una città/stato satellite con la comparsa di oggetti volanti alieni e la successiva entrata in scena di creature biomeccaniche grandi anche come dinosauri, che in poco tempo riescono a distruggere ogni segno di civiltà. La situazione si aggrava con l'allargamento delle devastazioni alla Russia, a tutto il continente europeo e poi a tutto il mondo, con annessa strage delle popolazioni. Dietro tutto questo in realtà non c'è nulla di umano: la mente che ha concepito questo piano di dominazione globale è quella del Grandmaster della galassia o qualcosa del genere, Meio, che controlla i movimenti delle truppe aliene dalla sua stazione spaziale. Il tutto è davvero troppo pasticciato, anche per un videogioco, e fa addirittura pensare a qualche forma di autocensura o di ripensamento tardivo, anche perché altri elementi presenti nel gioco rimandano a temi francamente fantapolitici, come la presenza di guardie futuristiche in stile Armata Rossa, la vicinanza dell'area di gioco con certi stati ex-URSS a maggioranza islamica (Kazakistan) e addirittura la somiglianza del suo leader col caro vecchio Gorbaciov (non scordiamoci che il coin-op originale Capcom è del 1989, quasi in era glasnost).
L'assoluta flebilità della trama non cancella però un dato storico invece inoppugnabile, almeno nel nostro campo: Strider è stato il gioco che nel 1990 ha sdoganato il Mega Drive, fino ad allora considerato un giocattolo o poco più. Le gesta del ninja Hiryu, appartenente a una congrega di agenti/mercenari con base in un'isola dei mari del sud, sembrano in effetti fatte apposta per mettere in luce le potenzialità del 16 bit Sega. Il nostro atletico eroe, armato di gancio per le acrobazie e spada elettronica, deve infatti affrontare un esercito alieno tutto da solo, fatta eccezione per saltuari interventi da parte di amici droidi, eliminando intere orde di avversari con la sua katana-laser. Il tutto comporta un'azione tanto frenetica quanto spettacolare, con ritmi che ricordano quelli di Castlevania e una velocità che avrebbe potuto mettere in difficoltà qualsiasi processore di macchine più blasonate. Il povero Motorola 68000 del Mega Drive sforna invece una performance incredibile, quasi priva di indecisioni o rallentamenti, alla faccia di un impianto grafico non poco impegnativo. La vicinanza col coin-op originale è impressionante (le due versioni condividono addirittura gli stessi bug) e ai tempi lasciò basito più di un fan del Super Nintendo. Chiaro che, in questo ambito, le cose che si possono chiedere a Strider sono quelle che sono: grande intensità, piattaforme a go go, esplorazione che si limita alla ricerca di power-up e nessun rimando concreto all'arte dei ninja. Quelli che ai tempi si sono lamentati di questa superficialità hanno davvero mancato il bersaglio: questo non è Metal Gear e non ci pensa nemmeno ad esserlo.
Certo che una maggiore articolazione degli attacchi e dei comandi poteva forse essere concessa, ma lo spirito dei coin-op anni ottanta era in fondo proprio questo, con poche o nessuna eccezione, e i programmatori Sega avevano già fatto un miracolo a riprodurre le dimensioni e il dettaglio degli sprite originali, sorprendenti per i tempi, concedendosi solo qualche compromesso a carico delle animazioni e dei fondali. Anche le cinque 'location', tra città dell'est europeo, giungle amazzoniche e stazioni spaziali, sono le stesse del coin-op, il che fa subito capire quale sia lo spirito del gioco, con una sfida breve ma intensa, come nella tradizione delle sale giochi. Nessuna sorpresa, insomma, ma d'altro canto questo è proprio quello che si aspettavano gli hardcore gamer e la conversione inappuntabile, realizzata anche grazie alla prima cartuccia da 8 megabit del Mega Drive, proprio questo faceva. Un classico che ha lasciato il segno, insomma, magari anche al di là di quanto poteva sembrare al tempo, come stanno a testimoniare le numerose versioni parallele per console e computer (quasi tutte curate da Tiertex, a eccezione di quella per Sharp scritta dalla stessa Capcom, e quasi sempre non all'altezza) e i numerosi tentativi di ripresa lanciati sulle successive macchine, sovente fallaci. I momenti magici non si ripetono facilmente.
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