Nintendo Super NES
Donkey Kong Country 2: Diddy's Kong-Quest
Nintendo | Rare
14 04 2014
Prima di Mario, Wario, Sonic, Wonder Boy, Shinobi, Crash Bandicoot o qualsiasi altra cosa si sia mossa tra piattaforme di varia natura, c'era lui, Donkey Kong. Così vecchio che un idraulico con baffi e cappello rosso recitava solo un ruolo di spalla nelle sue prime avventure. Vecchio e presente alla ribalta di tutte le macchine Nintendo, fino a quelle dei giorni nostri, ma, stranamente, presente solo come nome di cartello nel secondo episodio dell'omonima trilogia su Super Nintendo: il suo ricordo aleggia lungo il gioco, ma il casting aveva scelto come protagonisti Diddy e Dixie, non si sa per quale diavolo di motivo (forse per evidenziare il distacco di Shigeru Miyamoto dal progetto).
E in qualche modo la mancanza del nostro gorilla superstar (per non parlare di quella del suo ideatore) si avverte e toglie atmosfera a un gioco per certi versi anche superiore al prequel. Se non altro perché qui, già a partire dalle dichiarazioni programmatiche, veniva abbandonata quella impostazione 'easy' che, se aveva attirato un'audience gigantesca, aveva però reso un po' piatto il procedere lungo il primo Donkey Kong a 16 bit. Il quale aveva il suo punto forte nelle continue trovate, di scena e di gioco vero e proprio, ma peccava dal punto di vista della sfida in senso stretto. In soldoni: si rimaneva a bocca aperta di fronte allo spettacolo e alle sorprese, ma i più scaltri riuscivano a chiudere la pratica in poche sedute. In presenza di qualche critica di troppo i programmatori Rare si imposero così un'inversione di tendenza: ancora grafica scintillante, controlli inappuntabili, colonna sonora senza sbavature, insomma, ma anche iniezioni ricostituenti al gameplay. Il grado di durezza del quale, pur non raggiungendo vertici impraticabili, ne trasse immediato conforto: il procedere qui è più contrastato e i livelli non scorrono più via come sorsi d'acqua, anche perché le fasi da risolvere solo sulla base delle diverse abilità dei due personaggi, che si alternano alla guida del team, sono ancora più numerose. Dixie e Diddy possono tra l'altro collaborare tra di loro, per esempio facendosi lanciare a turno per raggiungere piattaforme apparentemente troppo distanti, anche se non sono pochi i momenti in cui non si capisce cosa fare per uscire da situazioni critiche.
A margine dei cambiamenti più evidenti si incontrano anche innovazioni di secondo piano, come l'introduzione di nuovi comprimari, anche loro con caratteristiche specifiche, che collaborano con le nostre scimmiette nella eliminazione degli avversari. Lungo le otto zone principali da esplorare e la quarantina di livelli presenti resta naturalmente anche il corredo davvero enorme di bonus, power-up, sottolivelli, moltiplicatori di punteggio, aree segrete, giochini extra, barili, palloni colorati, letterine, banane e quant'altro, il che rappresenta il segno più caratteristico di una serie che ha forse raggiunto il record assoluto di ricchezza di varianti, in questo senso. E a proposito di ricchezza e di varietà la grafica prerenderizzata, realizzata mediante supercomputer Silicon Graphics e al limite delle possibilità di un 16 bit, già utilizzata nel primo Donkey Kong Country, viene qui ripresa in pieno. Gli esiti sono sempre spettacolari, con un filo di 3D e addirittura un po' di 'shading' a condire scenografie già particolarmente raffinate, ma in qualche modo (sarà forse il tema della nave pirata, sfortunatamente piazzato in apertura, che mi sembra poco ispirato) il risultato finale appare più incolore e pasticciato.
Per il resto Donkey Kong Country 2 viaggia nei canoni più ortodossi dei platform bidimensionali, con dosi massicce di salti e ondate insistite di mostri da eliminare, spesso mediante classico salto in testa à la Mario. Il tocco di Miyamoto si vede ancora, insomma, anche e soprattutto nella eterogeneità delle varianti di gioco, ma purtroppo si vede di più quello del team Rare (con il quasi debuttante Gregg Mayles come produttore, Chris Sutherland a comandare la programmazione e David Wise a dedicarsi all'eccellente colonna sonora), evidentemente impegnato a non cambiare rotta e a rifornire i teenager del tempo di 'more of the same thing' senza ulteriori sforzi creativi. D'altronde nel 1995, a era PlayStation già avviata, questo era quanto si poteva chiedere a un gioco per Super Nintendo: continuare a vendere, mostrare quello che l'imminente Nintendo 64 avrebbe potuto fare e far credere ai fan più fedeli che la rivoluzione non era avvenuta o era comunque superflua.
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