Sega Mega CD
Silpheed
Game Arts
07 02 2011
C'è un modo sicuro per stabilire la popolarità di un vecchio gioco, qui ad A.Rea. 21: basta caricarlo e vedere quante persone arrivano intorno allo schermo. Se questo è il metodo, Silpheed (1993) detiene il record. Grafica 3D con astronavi impressionanti, canali in stile Star Wars, paesaggi a prismi esagonali che scivolano nello spazio, grossi cannoni laser, crateri, fortezze spaziali e piogge di asteroidi. Poligoni nudi old-fashioned, certo, ma rispetto a qualsiasi altra cosa di quegli anni (incluso il 3D da console di Virtua Racing e di Starwing, ed escluso il quasi contemporaneo Thunderhawk su Mega CD) Silpheed appartiene a un'altra categoria e rappresenta un classico caso in cui la grafica fa davvero il gioco.
Perché, a parte la spettacolarità innegabile ancora oggi, lo shooter di Game Arts non è poi niente più che un derivato di Galaxian o Galaga o analoghe antiche cose, con una visuale top down, scorrimento a binario fisso, paesaggi che influenzano il gameplay solo marginalmente e una nuova inclinazione a tre quarti per la visuale. Tutto da manuale, insomma, con un'armata aliena che esce dal nulla mentre tocca a voi, i top gun alla guida di un caccia spaziale ultra armato SA-77 Silpheed, di difendere il genere umano schivando una valanga di proiettili: esattamente lo stesso copione che va avanti dall'alba dei videogiochi. E Silpheed a variarlo non ci provava nemmeno, tanto da far venire il sospetto che la sua missione fosse già allora quella di un recupero nostalgico, riverniciato a puntino per presentarlo con un vestito più plausibile. Non fosse che, invece, Silpheed era già da tempo sul mercato, sotto più primitive forme, ma con le stesse caratteristiche. Al massimo si poteva quindi parlare di recupero e di rivalutazione di sé stessi (con le precedenti versioni anni ottanta per PC nipponici e per NEC PC 8801, Game Arts non aveva certo raggiunto il grande pubblico, cosa che le riuscì invece con questo remake e poi con i successivi e del tutto diversi Grandia e Lunar).
Ma soprattutto, come missione, Silpheed doveva salvare il Mega CD, dimostrando che l'add-on per Mega Drive non era solo un aggeggio vuoto di cui parlare sui giornali specializzati. E alla fine si può dire che Silpheed la 'mission impossible' sia riuscito a svolgerla, in qualche modo. Ricorrendo a qualche escamotage, ad esempio, dato che che il coso a CD di Sega non è che poi migliorasse più di tanto il gap tecnologico del Mega Drive. Insomma: dato che a muovere un gran numero di poligoni non ci si riusciva proprio, la trovata era quella di far lavorare in parallelo i processori Motorola 68000 della console e dell'add-on (Sega non si tolse a lungo questa voglia dalla testa: ricordate i due processori del Saturn?), in modo che uno si dedicasse al vivo del gioco e l'altro a far scorrere sullo sfondo le scene in Full Motion Video. Lo stesso FMV, tra l'altro, in cui il Mega CD aveva dato pessima prova di sé in passato, con filmati a bassa definizione e immagini scomposte in un mare di pixel. Nello specifico la soluzione scelta dai programmatori, via ulteriore escamotage, era un'altra volta di una semplicità disarmante: ridurre la palette dei colori e ricorrere a poligoni grossolani con un flat shading a netto contrasto.
Il prezzo da pagare era naturalmente quello della scarsa interattività tra i due piani di gioco, accentuata dagli spostamenti della navetta, spettacolari ma in pratica del tutto obbligati. Ma non è che nel 1993 ci si facesse molto caso, anche perché di esempi di vera tridimensionalità in giro ce n'erano pochi. L'ottimo lavoro del team Game Arts, in questo caso in collaborazione con i musicisti di Mecano Associates, riguardava anche la componente sonora, giustamente epica, intervallata da effetti potenti e realistici, in gran parte basata su campionamenti e solo in poche fasi affidata direttamente al povero chip audio del Mega Drive. Tutto questo non riuscì comunque a riscaldare una stampa specializzata ormai fortemente scettica, affascinata dall'impatto visivo, ma delusa da un 3D ancora non completamente raggiunto. A distanza di tanto tempo noi ce ne possiamo invece tranquillamente stracicciare, apprezzando invece l'elementare bellezza della grafica proprio come simbolo di quegli anni. Pura nostalgia, forse: ma passare attraverso la dozzina di quadri di Silpheed, tra l'altro con un volume di fuoco da far tremare i polsi, può essere paragonato a quello che ci può ancora dare un album di rock di una volta (schemi ultraconosciuti, ascolti ripetuti, tecnica di registrazione antidiluviana, nessuna sorpresa, ma io non scambierei ancora adesso i Led Zeppelin con gli Arcade Fire).
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