Nintendo Super NES
Doom
Ocean | Williams | Sculptured Software
25 11 2007
Mamma di tutte le battaglie, archetipo di tutti i massacri, Doom era un instant classic già al momento del lancio su PC. Il sogno di realizzare labirinti in 3D aveva perseguitato ogni programmatore fino dall'inizio dei tempi, tanto che andare a rivedere i tentativi primordiali (p.es. su Spectrum) dà, oggi, la sensazione precisa di quante ere geologiche siano passate da allora. Doom arrivava direttamente dalla linea di sangue di Castle Wolfenstein e derivava, in particolare, da quel Wolfenstein 3D che un paio di anni prima aveva portato in milioni di case quel sogno inseguito da chissà quanto: la promessa questa volta era quella di abbandonare le stanze squadrate, i corridoi tutti uguali, i personaggi a blocchetti, aggiungendo texture mapping, effetti di luce, scale, ascensori, mostri vari, stanze segrete, armi improprie ed ettolitri di sangue da versare. L'attesa era quindi già montata, l'hype era stato già in piedi senza nessuno sforzo di marketing. Solo che Doom alla fine è diventato qualcosa di più: se non altro per la diffusione planetaria che ha avuto (io penso che praticamente ogni proprietario di PC ci abbia fatto perlomeno una partita), può davvero reclamare il titolo di mamma di tutti i corridor game, first person shooter o come li volete chiamare, un genere cioè che ha poi invaso il mercato per una quindicina di anni e che, senza questa svolta, avrebbe potuto avere caratteristiche del tutto differenti.
La storiella della base marziana della UAC, invasa da mostri demoniaci a causa di un difetto nei trasportatori di materia, era però piuttosto difficile da digerire nelle sue tridimensionali forme per il nostro Super Nintendo, ed evidentemente ancora più tosta per i poveri chip Motorola del Megadrive: in pratica, così si diceva, Doom era roba da 486 o da Pentium, macchine allora da milioni di lire, e le console da centomila lirette potevano solo sognarselo. Almeno in partenza. Perché a un certo punto, sotto la spinta del mercato (estate 95), Nintendo se ne uscì con l'annuncio che il Doom per console era ormai pronto, courtesy of Sculptured Software con l'aiuto della stessa id Software di origine, e che in pratica non si era lasciato alle spalle niente che fosse presente nella versione originale. Uno shock per diversi motivi: prima di tutto perché nessuno se lo aspettava, per i motivi di cui sopra, poi perché la comparsa di un bagno di sangue sul Super Nintendo, testimoniato tra l'altro dal rosso vivo del cartuccione, era davvero la cosa meno prevedibile al mondo (Nintendo, nel pieno della campagna USA anti videogiochi, era terrorizzata da qualsiasi accenno a sangue e frattaglie varie e aveva censurato ben altro: d'altro canto i frequenti richiami a Doom da parte dei protagonisti del caso Columbine non hanno poi certo dato torto a chi si preoccupava di dare esempi sbagliati a bimbetti appena cresciuti).
Tornando comunque alla trama, rimasta invariata in tutte le versioni, tutto viaggia sui binari della più grande semplicità e in realtà non viene mai sviluppato più di tanto. Ma funziona, e il giocatore riesce in qualche modo ad intuire gli orrori accaduti all'interno della base marziana, grazie a una serie di indizi sparsi qui e là (p. es. i soldati appesi alle pareti a sgocciolare). Doom quindi, a parte essere essenzialmente uno shooter e amen, aveva dalla sua un'atmosfera misteriosa e credibile che pochi suoi concorrenti potevano e hanno poi potuto avere, e in questo senso è stato anche uno dei primi rappresentanti di videogioco adulto ad essere apparso su schermi e monitor. Tanto più incredibile che sia arrivato senza modifiche su una console votata a soddisfare le attese di un pubblico completamente diverso. Dove la versione originale poteva invece essere tradita, nel passaggio da PC a console, era sul versante della tecnica pura, come dicevamo. Gli unici tentativi di raggiungere una tridimensionalità effettiva il Super Nintendo se li era concessi grazie ad Argonaut e al suo chip Super FX, ma stavolta l'impresa era sicuramente di maggiore portata rispetto ai percorsi obbligati di Starfox o alle piste di Stunt Trax: qui si trattava di ricostruire ambienti enormi e complessi e di far girare il tutto in maniera adeguata, senza rallentamenti da carico.
Tirando le somme, a distanza di dieci e passa anni, le cose sono andate meno peggio di quanto la stampa ufficiale ci ha voluto far credere ai tempi. Certo, le texture qui sono semplificate, gli sprite dei mostriciattoli assassini sono spesso solo dei mostruosi agglomerati di pixel colorati, e altrettanto sicuramente la grafica si muove a non più di 10 fps, il che farebbe urlare - ma non di paura - qualsiasi proprietario di computer. Ma il Super Nintendo non era un PC: rispetto a questo costava ai tempi perlomeno dieci volte meno e, comunque, il chip FX2 inserito nel cartuccione rosso arrivava a picchi di 21 MHz, surclassando i 3.85 del pigro processore del Super NES e consentendo, grazie alla rinuncia a una maggiore fluidità, una gestione plausibile della grafica 3D, dei movimenti degli sprite (bidimensionali come in tutte le versioni) e di exploit assolutamente improbabili come la presenza di effetti di luce dinamici. Se proprio vogliamo dirla tutta, poi, non è che il Doom originale faccia poi questa grande figura a rivederlo oggi, con gli occhi di un giocatore minimamente scafato da anni di Quake e quant'altro. Ma a parte questo, quello che conta è il divertimento, e in questo senso il gioco di Romero, anche su console, aveva allora e ancora di più ha ora poco da dimostrare al mondo: si potrebbe dire generalizzando, ma forse nemmeno tanto, che se qualcuno si annoia con Doom ha probabilmente poche possibilità di divertirsi con i videogiochi in toto.
Il gameplay, appunto, è esemplare, come si suol dire: molte delle cose che prendiamo per acquisite oggi sono state viste qui per la prima volta, ed è difficile immaginare dove sarebbero finiti oggi i corridor game/FPS se Doom non fosse esistito. Gli stessi elementi di base della costruzione del gioco, se non vogliamo prendere in considerazione le innovazioni, sono poi assemblati con una cura che arriva alla perfezione o quasi: disegno delle ambientazioni, localizzazione di armi, rifornimenti e item, comportamento degli avversari (un po' monocorde, ma la tecnologia del tempo non consentiva lo sviluppo di una IA evoluta) sono fattori che contribuiscono in maniera fondamentale allo spessore di gioco e fanno di Doom un titolo dalla longevità proverbiale, anche se nel passaggio su Super NES qualche livello finì per andare smarrito e l'opzione multiplayer non venne presa nemmeno in considerazione.
Nintendo, tramite Williams e Ocean, non ci risparmiò comunque qualche impuntatura, tipica nel bene e nel male delle sue conversioni. Nel bene perché qualcuna era davvero inevitabile (la caduta dei fps comporta un ritardo nei movimenti, fatale quando si tratta di sparare, almeno fino a quando non si prende confidenza con il timing), nel male quando l'errore era invece aggirabile. Parliamo del sonoro, ben realizzato per quanto riguarda il sottofondo musicale, ma insufficiente se si prendono in considerazione gli effetti (e se c'è un titolo in cui la dinamica della colonna sonora è fondamentale, questo è proprio Doom). Ma è soprattutto l'assenza di un backup decente, sicuramente provocata dalla volontà di limare al massimo i costi, che rende davvero penosa la progressione di gioco, con molti giocatori che abbandonano l'impresa solo per non ripetere più volte gli stessi livelli.
Ma alla fin della fiera, a parte questi errori non forzati, possiamo definire riuscita questa operazione di trapianto all'interno di una piccola cartuccia, operazione quasi contraria alle leggi della fisica. Doom è un classico (forse nessun videogioco merita di più questa definizione) e come tale era destinato alla più larga diffusione possibile. Verrebbe da dire che se i ragazzi di trenta anni fa leggevano tutti l'Isola del Tesoro, quelli di oggi sono stati tirati su soprattutto a pane, Doom e suoi derivati, e questo un po' grazie anche al Super Nintendo. Non è sicuramente un bene, è probabilmente un segno dei tempi, ma è un dato di fatto incontestabile.
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