Imbarcato in tenera età su un cargo battente
bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai
suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti
contatti con numerose popolazioni indigene
legate alle tradizioni, una smodata passione per
l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming,
in particolare se targato Sega...
Nintendo Super NES
ClayFighter
Interplay | Visual Concepts
19 08 2007
Il duello uno contro uno: uno degli elementi più popolari dei videogiochi. La possibilità di misurare la propria abilità contro quella di un altro giocatore, mettendolo dalla parte del torto e provando di essere il migliore. Sembra che qualsiasi forma di Versus Mode sia stata tirata fuori da ogni concepibile forma di gioco: guida, puzzle, strategia, sport, lotta o il semplice rincorrersi lungo dungeon e corridoi. Comunque Interplay, ai tempi dei 16 bit, era arrivata a inventarsi qualcosa che deviava decisamente dalla norma: un gioco de botte tra cosi fatti di plastilina (eh?).
In ClayFighter, a parte la sua unicità di base, si rintracciavano però parecchie altre cose da tenere in considerazione. In termini strettamente visivi, tanto per cominciare, c'era davvero poco da limare o criticare: la grafica faceva di tutto per progredire verso un raro 3D plausibile, con effetti di luce, ombreggiature, ottimi fondali e personaggi fortemente caratterizzati, tra l'altro di dimensioni generose e animati al meglio che la tecnica di allora poteva concedere. Le stesse mosse a disposizione dei vari Mr. Frosty o Blob si rivelavano subito innovative, con un morphing che andava ad accompagnare tecniche di attacco ovviamente bizzarre (con cloni di Elvis, pupazzi di neve e vichinghe ciccione alla ribalta non c'era davvero da aspettarsi niente di meno). Questo tono di fondo, giocato più sul freak che sul combattimento nudo e crudo, finiva però, altrettanto ovviamente, per rappresentare la condanna di ClayFighter rispetto alla stazza imponente di altri brawler del tempo, come Street Fighter II o Mortal Kombat. In ClayFighter le varianti di lotta possibili, al di fuori di quelle più spettacolari e sopra le righe, non erano infatti molte e non concedevano praticamente mai quelle combinazioni di mosse che erano alla base dei picchiaduro bidimensionali più classici (e di cui rappresentavano la salvezza in termini di spessore: basta pensare agli eccessi di Killer Instinct, con combo di una ventina di comandi da richiamare prima di effettuare un attacco).
Se a questo aggiungiamo una leggera gommosità nella risposta ai comandi, il prodotto finale, per un giocatore medio, non poteva che essere quello dell'affidarsi a combattimenti frenetici e a tattiche fisse, nella speranza spesso fondata di spuntare una vittoria casuale e amen. Tanto più che la decerebrazione del gameplay proseguiva nell'impostazione scarsamente equilibrata dello staff dei contendenti (otto e non di più), con personaggi quasi imbattibili e altri assolutamente disperanti. Come logica ciliegina finale, poi, questi fattori non potevano che portare anche all'annullamento di una qualsiasi longevità, fatta salva la possibilità di ritornare a ClayFighter solo per partite brevi e distanziate. Alla fine della fiera resta un gioco di un qualche impatto storico, se non altro per la sua stranezza e per il successo commerciale riscontrato da Interplay sul mercato USA (il tono a stelle e strisce è d'altro canto enunciato fino dai titoli di testa). Ma questo, anche se va ad aggiungersi a un pacchetto di mosse nascoste da scoprire, a una bella presentazione, a un sonoro di grande impatto, a un 2-player mode meno piatto del resto e alla grafica innovativa di cui sopra, semplicemente non era e non è sufficiente a salvare il circo dei combattenti in plastilina. Archiviare come "Bello, ma non indimenticabile".
[NO1]