Imbarcato in tenera età su un cargo battente
bandiera liberiana, NO1 ha sviluppato grazie ai
suoi viaggi in giro per il mondo, e ai conseguenti
contatti con numerose popolazioni indigene
legate alle tradizioni, una smodata passione per
l'antico. Passione che oggi riversa nel retrogaming,
in particolare se targato Sega...
Nintendo Super NES
Space Ace
Empire
15 05 2007
Se si vuole diventare bravi coi videogiochi bisogna fare molta pratica, comprarne molti, probabilmente spendere molti euro e moltissimi centesimi. Alla fine però si capisce che quello che conta per averla vinta in un videogame è comprenderne gli schemi.
Tutti i videogiochi seguono degli schemi. Per esempio, quando una nave spaziale o un mostro si muovono in un dato modo sullo schermo, stanno seguendo uno schema. I videogiochi hanno degli schemi di base perché essenzialmente non sono altro che una lista di comandi che passa attraverso i processori di una macchina. Il numero di comandi è più o meno grande, ma è comunque limitato e così la CPU eventualmente recupera le vecchie liste e il gameplay torna a ripetersi. Così, se si sa che un mostro si sta avvicinando ci si sposta di lato per impallinarlo dietro a un angolo. Quelli bravi, insomma, sono bravi perché riescono a conoscere e a penetrare fino in fondo le sequenze degli schemi.
La sequenza può però essere più o meno articolata: in un titolo come Gran Turismo gli algoritmi che regolano comportamenti e avversari sono molto sofisticati, tanto da riuscire quasi ad imitare la complessità della realtà. Ma, ovviamente, non è così e tanto meno lo era un tempo: se si va con la memoria all'epoca dei laser game torna subito in mente come la linea scheletrica del gameplay si intravedesse chiaramente dietro alla bella grafica, proprio come succede con un osso in una radiografia. Come già detto in altri casi, lo schema era niente più che questo: primo ostacolo - si muore - ripetizione - si ricorda di evitare il primo ostacolo - secondo ostacolo - si muore - si evita il secondo ostacolo - terzo ostacolo - si muore - si memorizza e si evita il terzo ostacolo - ecc. ecc. fino alla fine. Space Ace, nello specifico, era un laser game basato sui personaggi dei cartoon di Don Bluth dell'inizio degli anni ottanta e come questi aveva spuntato, immediatamente dopo, un buon successo in sala giochi, proprio come era accaduto col suo predecessore Dragon's Lair, altrettanto graficamente stupefacente in rapporto ai tempi e altrettanto inconsistente. Sul Super NES, a una decina di anni di distanza (1994), le avventure del prode Dexter di Don Bluth, ripescate a sorpresa, avevano beneficiato di un piccolo lifting indirizzandosi in parte, indovinate un po', verso una più classica matrice platform e verso una maggiore libertà di movimento. La consistenza complessiva di Space Ace, comunque, restava anche in questo remake al livello di una sana partita di morra cinese.
Il problema più grosso era la maniera con cui bisognava memorizzare a puntino ogni livello se si voleva far sopravvivere il nostro povero Dexter. Le chance di farcela al primo incontro con un alieno cattivo o con una trappola mortale erano praticamente nulle e, dato che ogni decesso riportava il protagonista all'inizio della corsa, il tutto diventava rapidamente esasperante: la longevità di Space Ace, insomma, poteva essere presa come metro del masochismo di un giocatore. Le sezioni alternative Space Maze e Power Tube, indirizzate verso un tema più francamente spaziale, offrivano in realtà un po' di scampo all'inesorabile tema platform, ma avevano anche l'apparenza di un compromesso buttato lì per salvare la baracca offendo troppo poco per salvarla davvero. Per quanto riguarda le altre scomodità ricorrenti in Space Ace potremmo ricordare il sistema di puntamento della pistola dell'eroe spaziale, oppure lo scrolling forzato di alcune sezioni. Le stesse animazioni di intervallo, che in fondo dovevano rappresentare il piatto forte di ogni buon laser game, qui venivano fuori abbastanza dimesse (non era certo questo il campo in cui le console a cartuccia brillavano di più). A credito del team di sviluppo di questa versione va invece la bontà complessiva della grafica, molto colorata, bene animata e provvista di alcuni tra gli sprite più grandi tra quelli incontrati sul Super Nintendo, come pure la qualità del sonoro in toto. Troppo poco, comunque, per salvare un gameplay completamente irragionevole: il valore di Space Ace (e lo stesso si può dire di quello dell'omologo Dragon's Lair, anche se la sua conversione per console aveva finito per seguire una impostazione diversa) bisogna andarlo a cercare nel campo della pura filologia e solo se si vogliono analizzare i tentativi di evoluzione di un linguaggio primitivo come quello dei videogiochi.
[NO1]