Nintendo Super NES
Eye of the Beholder
Capcom
10 03 2007
Era una notte buia e tempestosa, la notte dell'attacco al dungeon di Waterdeep, dove il Male si agitava in ogni corridoio in 3D e dove a voi e al vostro gruppo di quattro disgraziati toccò di mettere alla prova le vostre arti belliche per scampare agli attacchi di orde di creature non morte (nel senso che dovevano ampiamente esserlo, ma proprio non lo sapevano). Tante erano le trappole da evitare e tanti gli ostacoli che bloccavano il cammino, così tanti che spesso vi siete ritrovati in qualche vicolo cieco a difendervi e a cercare di risolvere l'ennesimo enigma: erede diretto di Dungeon Master, reperto fossile dell'era pre-paleozoica dei giochi di ruolo, l'Eye of the Beholder in questione si portava infatti dietro tutte le ruggini del tempo, ma anche una struttura bella ostica, almeno fino a che la brevità della trama non spuntava fuori in maniera incontestabile.
Eye of the Beholder usava con giusta approssimazione le regole del celebre Advanced Dungeons & Dragons e quindi, proprio come nell'originale set da tavolo, ancora prima di cominciare a giocare richiedeva un lasso di tempo insospettabile solo per arrivare a scegliere i quattro protagonisti di base (e questo soprattutto perché il metodo di selezione risultava completamente casuale, con l'inevitabile tentazione di provare e riprovare fino a ottenere eccellenti caratteristiche dei maghi, preti, guerrieri, elfi o ladri presenti in offerta). A questa prima piccola questione si andava però ad aggiungere la goffagine dell'interfaccia, che riprendeva in pieno quella 'un-passo un-comando un-frame' tipica dell'arcaico Dungeon Master e che quindi non poteva non mostrare tutti i segni del tempo. Un problema, ma un problema ovvio, data l'assenza di un mouse da utilizzare sul Super Nintendo: meno comprensibile invece la latitanza di una qualsiasi ottimizzazione della rilettura, come testimonia ad esempio l'assenza di una mappa su schermo. Sembra incredibile, ma in questa conversione Capcom, in fondo contemporanea all'uscita del primo Doom, veniva infatti ancora richiesta la creazione di una mappa su carta, e se questo poteva divertire qualche pazzo maniaco e qualche nostalgico della versione cartacea e dell'originale per PC, già allora non poteva però che sconcertare anche il meno scafato dei videogiocatori nintendiani.
Certo che il fascino di Eye of the Beholder derivava proprio da questo suo riprendere le ponderazioni di un gioco basato sul lancio di dadi e su una progressione lenta della trama, cosa in cui in effetti riusciva in pieno. Le fogne/catacombe di Waterdeep, organizzate in dodici livelli, avevano tra l'altro il pregio di offrire un minimo di atmosfera e una grafica adeguata degli sprite: niente di particolarmente spettacolare, soprattutto nel campo delle animazioni, ma un qualcosa che in qualche modo riusciva a far rivivere il clima di una partita tra amici, in mezzo a labirinti e personaggi di cartoncino (tanto peggio, allora, per non aver rielaborato in questo caso neanche uno straccio di modalità per più giocatori). L'operazione nostalgia, insomma, finiva (almeno quella) per andare in porto.
Lungo i dodici livelli di cui sopra, tra trappole, muri invisibili, teletrasporti e amenità del genere era poi fortunatamente facile perdersi: fortunatamente perché gli enigmi veri e propri non rappresentavano in fondo una sfida impossibile da superare, restando sempre allineati allo schema leva da trovare -> porta da aprire -> oggetto da spostare, presente peraltro in centinaia di titoli analoghi. Insomma, all'interno del tenebroso dungeon il vero pericolo non era quello di morire di paura, ma piuttosto quello di morire di una leggera noia, anche perché i combattimenti seguivano anche loro, come era ovvio che fosse, il solito monotono schema a turni, tipico dei giochi di ruolo e praticamente inventato proprio da Dungeons & Dragons. Grosso successo su PC agli inizi degli anni novanta, Eye of the Beholder su Super NES ha quindi soprattutto la colpa di non avere fatto nulla per rimpolpare un piatto già scarno nella sua versione originale di tre anni prima, con un tempo complessivo richiesto per incontrare il mono oculato Beholder che non dovrebbe andare al di là di qualche giornata di applicazione (salvo blocchi possibili in determinate aree di gioco, particolarmente ostiche da decifrare). Il suo merito, invece, è quello di uscire dal gruppone dei role playing game di stampo nipponico, presenti in dosi massicce sul Super Nintendo.
[NO1]