Nintendo Super NES
Starwing
Nintendo | Argonaut
30 01 2007
Non fatevi ingannare dalla linearità di Starwing, o voi ormai rotti a ogni esperienza tridimensionale via PlayStation 3 o Wii che dir si voglia. Questo è stato un giochillo di importanza fondamentale sia per quanto riguarda l'evoluzione grafica (o sarebbe più giusto dire rivoluzione: la gente restava a bocca aperta a guardare questo strano esemplare di non si sa bene cosa sparando dei "Cosa cavolo è?" che la dicevano lunga sul passaggio dai piccoli sprite a quello che sarebbe stato il futuro poligonale del giocare), sia perché era e ancora adesso è uno degli sparatutto più piacevoli e meglio assemblati che vi sia dato di rintracciare su qualsiasi scaffale di qualsiasi Valhalla dei videogiocatori.
Messo insieme da quella faccia di palta di Shigeru Miyamoto (qui nel ruolo di produttore) e da quella faccia da Fox McCloud di Jez San della britannica Argonaut (quasi un sosia del volpoide protagonista), Starwing era il primo titolo del catalogo Super NES ad incorporare il chip Super FX. Il quale chip funzionava come un coprocessore RISC, andando ad elaborare quei dati che il processore centrale del Super Nintendo proprio non si sognava di prendere in considerazione: in questo caso quelli responsabili di una smagliante grafica vettoriale 3D. E così dal cartuccione superdotato ecco venir fuori il vostro caccia intercettore spaziale Arwing, edifici poligonali più o meno ingombranti, asteroidi, corazzate interstellari, tre altri caccia che occasionalmente entrano in contatto audio/video col peloso capo squadriglia, buchi neri, draghi volanti, variazioni di visuale ante litteram e ovviamente tonnellate di navette, robot giganti, contraeree e quant'altro si poteva immaginare.
Il punto era che il Super NES era stato costruito soprattutto, se non essenzialmente, per portarci sopra il tipo di gioco che più attirava Nintendo all'inizio degli anni novanta, e cioè il platform. Il Super Nintendo aveva dalla sua tanti colori da utilizzare, un ottimo scrolling, più piani di parallasse da gestire, un grande audio, eccellenti joypad: aveva insomma tutto quello che ci voleva per mettere insieme innumerevoli cloni di Mario. Ma al di là di un parallelo talento per i picchiaduro, quando si trattava di sforare in altri campi andava spesso in difficoltà. Di sicuro, poi, gli ingegneri di Nintendo non avevano mai nemmeno preso in considerazione l'avvento dei giochi a poligoni, oppure dei coin-op come Starblade o Winning Run. Così, col Nintendo 64 ancora molto lontano, con la tecnologia CD fornita da Sony ormai definitivamente rinnegata e col 3DO e il Jaguar all'orizzonte, in Argonaut pensarono bene di costruirsi la base per una nuova generazione di giochi, piuttosto che restarsene ad aspettare una nuova generazione di console.
Fatto sta che, anche se dietro alla sua grafica da salto generazionale Starwing rimaneva in fondo un semplice caso di sparare agli avversari prima che loro sparassero a te (e ai tuoi tre colleghi, anche loro forniti di una specifica barra di energia), il passo in avanti non finiva per riguardare solo l'impianto visivo, ma anche il game design: in particolare la partecipazione di Miyamoto era evidente e portava l'impronta di una lucidità difficilmente riscontrabile anche lungo la sua interminabile carriera. L'intervento, poi, era tanto più miracoloso se si mette in conto il coinvolgimento solo indiretto dell'autore di Mario. Adesso può sembrare strano, ma al tempo (1993) il mercato giapponese non appariva molto interessato all'avvento della tridimensionalità nei videogiochi e così, quando in Argonaut decisero di impostare la prima versione di Starwing rifacendosi alle linee esili del loro precedente hit Starglider e puntando tutto sulla spettacolarità del risultato finale in 3D, Nintendo pensò bene di far rimescolare le carte al suo miglior produttore-programmatore, il già allora leggendario Shigeru. Molto di quanto contenuto in Starwing è in effetti immediatamente riconducibile a lui: penso soprattutto al character design, alla gestione dei bonus, all'ottimizzazione della risposta ai comandi, all'impostazione di un gameplay che concede punti e vantaggi solo dietro al pagamento di seri rischi da correre.
Difficile, quindi, non restare colpiti anche oggi dalla quasi perfezione di Starwing: l'impianto grafico è ancora molto caratteristico (è invecchiato piuttosto male, come tutto il 3D a poligoni nudi, ma gli è rimasta una atmosfera quasi metafisica stranamente gradevole) e filologicamente parlando non può non impressionare ancora di più; il sonoro fa sfigurare molti titoli delle console moderne, gameplay e produzione sono senza difetti apparenti e il tutto potrebbe mettere in difficoltà qualsiasi concorrente diretto odierno e non, incluso il valido remake uscito per Nintendo 64. L'unico fattore di debolezza che viene fuori è forse la mancanza di una longevità decente, ma qui siamo nel campo dei gusti personali. L'azione, comunque, resta sempre intensa, ci sono a disposizione tre diverse rotte da seguire a cui corrispondono tre diversi livelli di difficoltà ed esistono, per i più attenti, tutta una serie di cheat in grado di reimpostare il gioco ed aprire nuove aree segrete. Di conseguenza: Starwing potrà anche non avere fatto scuola come Zelda e Mario hanno fatto, il chip Super FX non avrà poi cambiato più di tanto le sorti del Super Nintendo, soprattutto a causa dei costi e di una certa difficoltà di programmazione, ma Starwing deve lo stesso restare in cima alla vostra lista dei recuperi da nostalgia, se non altro per ricordarsi che qualche volta i miti non sono un semplice alibi del marketing.
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