Sega Saturn
Tomb Raider
Eidos | Core | Toby Gard | Jason Gosling | Paul Douglas | Gavin Rummery | Derek Leigh-Gilchrist | Andrew Howe | Mansoor Nusrat
29 09 2024
La mia copia di Tomb Raider per Saturn è da vent'anni in soffitta, impolverata e soppiantata, in caso di improvvisa nostalgia, da quella per PlayStation, più diffusa e generalmente più apprezzata. Apprezzamento che vorrà pure dire qualcosa, ma che, secondo me, non è del tutto giustificato. Prima di tutto per motivi storici, perché il progetto di Toby Gard in realtà era nato sotto gli auspici di Sega, e anche perché le differenze tra le due versioni non erano in fondo drammatiche (texture ed effetti grafici migliori in quella Sony). E poi la meraviglia di vedere su schermo un gioco così diverso da quelli allora esistenti (è vero, c'erano Mario 64 e Fade to Black, ma il primo non era ancora uscito in Europa ed era molto diverso come contenuti e l'altro sembrava decisamente irrisolto) la dobbiamo proprio alla versione per Saturn, uscita un mese prima della gemella (ottobre 1996). E vedere nascere in diretta una leggenda (nessuno conosceva Lara Croft e l'anno dopo era sulle copertine di tutti i giornali) è stato stupefacente.
Se vogliamo fare un paragone, Tomb Raider si poteva accostare a un film che, grazie soprattutto a una prima parte da cineteca, lasciava a bocca aperta anche quelli che passavano per caso davanti alla TV, ipnotizzati da una trama alla Indiana Jones (migliore anche di quelle dei film che poi ne avrebbero recuperato il titolo). Tomb Raider però non doveva essere inserito nel genere dei film/videogiochi interattivi, né in quello delle avventure à la Monkey Island e nemmeno in quello dei giochi tipo Myst. I programmatori di Core avevano invece operato il miracolo di accendere la scintilla di un genere nuovo, che faceva intravedere un sogno inseguito a lungo: il coinvolgimento all'interno di una avventura, con i parametri di un videogioco vero e proprio uniti con quelli di una sceneggiatura venuta bene (con quella alternanza tra intensità e pause spesso auspicata dagli addetti ai lavori e quasi mai realizzata, nemmeno nei sequel degli anni successivi).
Il tutto era tanto più miracoloso se mettiamo in conto le dimensioni quasi amatoriali del team di sviluppo (una fase di approccio con i soli Toby Gard e Paul Douglas nella sede di Derby e una successiva con un gruppo di sei programmatori). Ma i colpi di genio non erano mancati: dall'idea di partenza di Toby Gard, che comportava il soggetto di base e la scelta di quella inquadratura in terza persona, alle spalle della protagonista (la stessa presente in Mario 64), che sarà ripresa in centinaia di altri titoli, fino al generatore di livelli 3D assemblato da Gavin Rummery. Generatore che permetteva sia di costruire con relativa facilità ambientazioni a tema grafico unico, collegate fra loro (niente esterni per il momento), sia di adattare il codice alle tre versioni in produzione (Saturn, PlayStation e PC), sia di correggere rapidamente eventuali difetti. Nonostante questo non è stato possibile evitare qualche bug di troppo in questa versione Saturn, soprattutto a causa della sua uscita anticipata, voluta a tutti i costi per ribadire la lunga partnership tra Core e Sega. Niente di insopportabile, ma vedere scomparire tutte le texture del pavimento di una stanza lasciava sconcertati (parecchi bug vennero poi corretti nella versione NTSC JP, lanciata dopo quella PAL per PlayStation). Tutto veniva però perdonato volentieri: in fondo eravamo in una fase pionieristica del 3D e il risultato finale era comunque sorprendente per il Saturn.
Il prodotto più vicino a Tomb Raider era per molti versi Resident Evil, mettendo in conto qualche fattore di divergenza fondamentale. La prima cosa che saltava agli occhi era la differente area di gioco: Resident Evil si svolgeva in ambienti circoscritti, che non potevano rivaleggiare con gli enormi siti archeologici di Tomb Raider ed erano per di più in grafica pre-renderizzata, bella ma priva di un vero 3D, il che limitava i movimenti dei protagonisti. Questo comportava ulteriori differenze, sia per quanto riguarda il ritmo di gioco, caratterizzato nel titolo Core da lunghe fasi di esplorazione in totale libertà, sia per la struttura di base, che implicava fasi acrobatiche e più ragionamenti che scontri a fuoco (le piattaforme fittizie e le trappole in stile Prince of Persia fungevano da contrappunto alle sparatorie, che comunque avvenivano, per esempio, con una frequenza molto diversa da quella di Doom e dei suoi derivati). Anche la trama era impostata in modo differente. La sceneggiatura del gioco Capcom era più precisa e riguardava tempi di svolgimento più ristretti, quella di Tomb Raider era meno descrittiva e con il suo tour tra siti archeologici di mezzo mondo ricordava molto quello che succedeva nei vecchi film e fumetti di avventura.
Parlando della vastità degli ambienti non si può poi non ricordarne anche la varietà grafica (il già citato il generatore grafico per gli interni era molto funzionale) e l'attenzione ai particolari. Abbiamo stanze affrescate, caverne enormi, labirinti, catacombe, vasconi in cui immergersi per ritrovare oggetti o leve da spingere. La qualità grafica è altrettanto evidente sia nell'animazione di Lara Croft (secondo Gard era meglio avere una donna inquadrata per ore da dietro piuttosto che un uomo - immaginate una dichiarazione del genere oggi, in pieno movimento 'woke') sia in quella degli avversari. In particolare sono interessanti i movimenti degli animali incontrati, perché riflettono i comportamenti reali: i lupi attaccano in branchi disposti in circolo, i velociraptor tentano affondi specifici come pure i leoni, eccetera. Da segnalare anche la bella colonna sonora che, per quanto rarefatta, presenta temi musicali tra i migliori di sempre, composti da Nathan McCree, ed effetti puntuali e verosimili.
Fino a ora tutto questo potrebbe equivalere a un nirvana del videogiocatore, ma in un titolo che affrontava ambiziosamente così tante situazioni, alla lunga gli stessi punti forti della struttura non potevano non subire una progressiva involuzione. E così, per assicurare una longevità su livelli elevati, le fasi di ragionamento non potevano non diventare sempre più complicate, fino a risultare frustranti (non è raro ritrovarsi bloccati in una stanza continuando a ripetere le stesse azioni, senza trovare una soluzione agli enigmi). Anche le fasi esplorative risultavano sempre più caratterizzate da imprese atletiche della protagonista (essenzialmente pericolosi salti da e su piattaforme) che in alcuni casi sfioravano l'impossibile. Per fortuna il controllo sui movimenti era molto buono e rifletteva l'ennesimo colpo di genio di Gard e compagni. Non potendo sfruttare una levetta analogica (all'inizio della lavorazione non erano disponibili i nuovi joypad Saturn e PlayStation) i programmatori optarono per un compromesso. Al contrario di quanto accadeva in molti altri titoli, qui Lara Croft di norma corre e per farla camminare bisogna ricorrere a un pulsante che consente, giustamente, un approccio prudente in caso di rischio elevato (come in Prince of Persia). Allo stesso modo per osservare e ispezionare da fermo gli ambienti si ricorre a un pulsante ausiliario, senza troppe difficoltà. Il puntamento delle armi è invece automatico, ma per fortuna non così decisivo (colpire i bersagli non è sempre facile, nonostante una scorta di proiettili infinita per l'arma di base). Alla fine il risultato è comunque esemplare e supera per facilità d'uso molti titoli odierni.
Anche la qualità grafica della versione Saturn non poteva non andare incontro a qualche compromesso, con il ricorso frequente a uno solo dei processori, con una palette di colori scarna (Saint Francis Folly) e con texture poco definite. Tenendo conto che Tomb Raider per molti versi può essere accostato a un Prince of Persia in 3D questa mancanza può però risultare fatale: basti pensare a cosa vorrebbe dire effettuare i salti presenti in Prince of Persia in un ambiente graficamente confuso. Il vecchio Shrapnel, per esempio, rimase bloccato per una settimana solo perché non riusciva a individuare gli appigli necessari per scalare una parete (cosa che, a dire la verità, con la versione per PlayStation non sarebbe poi accaduta).
Al tirare delle somme: la versione per il 32 bit Sega è oggettivamente la peggiore delle tre prodotte da Core quasi in contemporanea (ma non di molto e fatti alcuni distinguo: qui sono gestiti meglio il 'Gouraud shading' e le giunzioni tra poligoni, il gioco è leggermente più veloce e non scommetterei sulla sua inferiore fluidità). Ma in fondo questi sono fatti marginali. Riconoscerei la versione Saturn alla prima occhiata, questo sì, recuperare la sua copia in soffitta mi ha fatto un certo qual effetto (quindi torna in libreria) e rigiocarla proprio con i suoi difetti mi rimanda con ancora maggiore focus a un momento magico di una trentina di anni fa. E poi, come si dice, Tomb Raider è più un'esperienza che un gioco, è un pezzo di storia, per quanto effimera. Recuperare questa versione potrebbe essere un'operazione intrigante per chiunque sia interessato al retrogaming e, naturalmente, un piacere imprescindibile per qualsiasi supporter della vecchia console Sega.
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