Sega Saturn
Dungeons & Dragons Collection
Capcom
27 05 2023
Una collezione di videogiochi moderatamente ingombrante mi ha insegnato che l'equazione "videogioco raro = figata assurda" mica è sempre vera. Possedere Final Fight Revenge per Saturn non mi riempie il cuore d'orgoglio, per esempio; piuttosto mi seppellisce sotto tre metri di tristezza ogni volta che penso alla super di Edi.E con l'auto della polizia. Invece Dungeons & Dragons Collection, pur non rarissimo, rimane un pezzo da avere e da giocare regolarmente. Sarà per il fascino della sempre attuale grafica bidimensionale o perché, uscito unicamente in Giappone, raccoglie in una bella confezione le conversioni di Tower of Doom e Shadow Over Mystara, i due coin-op su licenza D&D realizzati da Capcom rispettivamente nel 1993 e nel 1996. Una compilation che racchiude un'importante lezione di storia, oltre alle uniche conversioni di due dei migliori picchiaduro a scorrimento che abbiano mai graziato un supporto ottico.
Perché la gestazione di Tower of Doom è un po' come il testo di Burning Heart dei Survivor con il suo scontro tra due culture, mentre nell'occhio del ciclone torreggia l'ambito marchio Dungeons & Dragons. Capcom se ne era accaparrata i diritti grazie ai quali qualche anno prima aveva convertito su Super Famicom l'ottimo Eye of the Beholder di Westwood; quando arrivò il momento di creare un gioco da zero, però, si trovò di fronte una TSR conservatrice e scettica. Una barriera comprensibile anche in virtù del fatto che in Giappone i manuali ufficialmente tradotti di D&D erano pochi e vecchi rispetto all'offerta occidentale; l'immaginario fantasy nipponico era quindi cullato principalmente dalle follie dei vari Dragon Quest e Final Fantasy.
Il dubbio che uno studio giapponese (per quanto prestigioso) potesse stravolgere in qualche modo l'universo di AD&D, vera istituzione nel mondo occidentale, pareva quindi quantomeno legittimo. Nel mezzo si trovavano quei poveracci della SSI che detenevano la licenza per sviluppare videogiochi su Dungeons & Dragons e avevano concesso i diritti a Capcom. Il loro ruolo di mediatori non stava dando i frutti sperati e l'affare era in una stagnante situazione di stallo. Il deus ex machina della situazione è rappresentato da Alex Jimenez, un consulente esterno reclutato da James Goddard di Capcom of America per spiegare ai colleghi giapponesi cosa fosse AD&D in modo da trovare un punto d'accordo con TSR.
È necessario riflettere ulteriormente sulla frase precedente: si trattava della prima volta in cui degli occidentali avrebbero avuto voce in capitolo sul lavoro degli artisti di Capcom, per giunta all'apice della sua popolarità nelle sale giochi. Idee dello studio nipponico come un anacronistico battello a vapore vennero scartate mentre altre furono accolte senza problemi come l'aspetto dell'elfa, ispirata alla Deedlit di Record of Lodoss War. Ci vollero venti mesi tra lavoro e fitte mediazioni per creare Tower of Doom, presentato a un pubblico entusiasta durante la Gen Con (fiera del settore ruolistico creata dallo stesso Gary Gygax dal 1968 come luogo d'incontro tra appassionati di wargame). In questi mesi TSR fu particolarmente attiva nel fornire tutto il materiale necessario, con la sola richiesta di lasciar fuori dagli eventi il reame degli elfi per il quale, all'epoca, aveva particolari piani in serbo. Alla stessa maniera Capcom si dimostrò estremamente ricettiva, tanto da cambiare totalmente l'impostazione del gioco rispetto al progetto originale: Tower of Doom doveva essere un gioco a due pulsanti ma alla fine si optò per quattro tasti in modo che i giocatori potessero utilizzare il proprio inventario. Ciò fu voluto da Jimenez che immaginava l'adattamento come un incrocio tra il classico Golden Axe e il 'laser game' Thayer's Quest (1984), ovvero il primo coin-op della storia a mettere a disposizione del giocatore un inventario e bivi nella narrazione.
In fondo nessuno si era lamentato dei sei pulsanti di Street Fighter II a giudicare dal successo, eppure inizialmente il progetto rischiava di essere accantonato proprio per l'apparente complessità. E continuando con l'analogia, Tower of Doom richiedeva al giocatore un impegno ben superiore a quello di un comune picchiaduro a scorrimento. Sia lui che il seguito Shadow over Mystara necessitano in primis una buona alchimia tra i giocatori: conoscere i passaggi segreti, decidere la strada a ogni bivio, distribuire equamente il denaro per comprare le limitate pozioni energetiche tra un livello e l'altro o usare le magie al momento giusto per interrompere gli attacchi dei boss sono caratteristiche indispensabili per terminare il gioco con un solo gettone. Su Saturn l'affiatamento è ancora più importante dato che si può giocare solo in due e non più in quattro come in sala giochi: per questo motivo alcune condizioni sono state riformulate, come il punteggio necessario all'attivazione del potentissimo incantesimo Final Strike in grado di devastare da solo Synn, il boss finale di Mystara. A questo si unisce una sorprendente IA dei nemici in grado di attaccare in gruppo usando tutto l'arsenale a disposizione; gli acquatici trogloditi per esempio scagliano un giavellotto, lanciano bombe incendiarie, diventano invisibili e stordiscono i giocatori con il loro fetore. Niente male per della semplice carne da cannone.
Fortunatamente le opzioni a disposizione dei giocatori non sono da meno. A parte l'inventario citato poc'anzi con cui usare al momento giusto incantesimi, pugnali, martelli da lancio e altre amenità belliche, è necessario padroneggiare diverse tecniche come la parata o la possibilità di camminare in ginocchio per schivare le trappole; da questa posizione è possibile eseguire una rapida scivolata o un attacco in corsa con combinazioni di pulsanti piuttosto macchinose in Tower of Doom, sostituite provvidenzialmente in Mystara dalle classiche mezzelune familiari a ogni giocatore di picchiaduro. In effetti il secondo capitolo è il migliore tra i due; oltre a un sistema di controllo superiore che rende gli scontri più dinamici e fluidi può vantare la presenza della ladra e del mago assieme a guerriero, chierico, elfa e nano del capitolo precedente e illustrazioni mozzafiato realizzate dalla solita, eccezionale Kinu Nishimura. Il tutto assieme a una serie notevole di finali alternativi e potentissimi artefatti nascosti che lo rendono un picchiaduro a scorrimento incredibilmente profondo e rigiocabile. Il bello è che richiese 'solo' 16 mesi di lavoro rispetto al predecessore, dato che oramai Jimenez aveva reso Capcom e TSR una squadra affiatata; purtroppo presentava anche dei bug piuttosto vistosi che fecero la gioia dei lettori di Gamest. Questi sono stati corretti nella versione Saturn che si appoggia alla cartuccia di espansione da quattro mega per offrire la miglior versione del penultimo, grande picchiaduro a scorrimento di Capcom per il mercato arcade. In seguito sarebbe arrivato il folle Battle Circuit a concludere definitivamente un'era.
[Dan Hero]